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Corte di Cassazione, la n. 45317 del 7/11/2019.

La sentenza aveva riguardato in particolare la corretta applicazione dell’art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 che ha fissato gli obblighi posti a carico dei coordinatori per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) nei cantieri temporanei o mobili, l’individuazione delle loro competenze e sostanzialmente delle loro responsabilità nel caso che nel cantiere nel quale svolgono la loro attività si infortuni un lavoratore.

Ci troviamo a commentare un’altra sentenza della stessa Corte di Cassazione, emanata dalla IV Sezione penale, la n. 10136 del 16/3/2020 che dice giusto il contrario e che dà delle indicazioni che contrastano con quelle fornite con la precedente.

La domanda alla quale bisogna dare una risposta, che sia certa, è se il rischio la cui gestione è affidata al CSE è soltanto quello interferenziale fra le imprese sottoposte al suo coordinamento o è invece anche quello specifico dell’attività lavorativa svolta da ogni singola impresa che opera nel cantiere. La risposta deve essere certa, tenuto conto che nel campo penale la certezza delle norme è un requisito assolutamente essenziale. E’ un punto quello sopraindicato sul quale la suprema Corte, a distanza di circa 25 anni dall’introduzione delle disposizioni di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, non riesce a trovare una linea precisa ed uniforme.

Analogamente a quanto affermato dalla sopracitata sentenza n. 45317 del 7/11/2019 si era già espressa anche la IV Sezione penale della stessa Corte in un’altra precedente sentenza, la n. 27165 del 4/7/2016, nella quale la Sezione ebbe a sostenere il principio di diritto secondo cui il coordinatore per l'esecuzione ha una posizione di garanzia che non va confusa con quella del datore di lavoro. Il coordinatore, ha sostenuto la suprema Corte in quella occasione, ha “una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). L'unica eccezione è costituita dalla previsione di cui all'art. 92 lett. f) D.lgs 81/08 secondo cui egli, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, ed evidentemente immediatamente percettibile, è tenuto a sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. Il coordinatore per l'esecuzione, in altri termini, non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale”.

Nella citata sentenza n. 45317 del 7/11/2019, con la quale la suprema Corte ha annullata la sentenza di condanna di un CSE emessa nei gradi di merito, la Cassazione ha ribadito chiaramente che la sfera di competenza del CSE è quella dei rischi interferenti sui quali deve appunto intervenire nella sua attività di vigilanza e non quella dei rischi specifici di ogni singola impresa e lo ha fatto facendo delle considerazioni del tutto condivisibili. Il CSE non è tenuto, ha infatti sostenuto la suprema Corte, ad intervenire allorquando il pericolo è inerente a un rischio specifico di un datore di lavoro in quanto, in caso contrario l’intervento del CSE, ha inoltre precisato, costituirebbe una ingerenza nella gestione di lavori estranei alla sua sfera di competenza comportando la presa in carico di rischi specifici dell’impresa esecutrice il che implica, ai sensi dell’art. 299 del D. Lgs. n. 81/2008, l’assunzione di una posizione di garanzia relativa ai datori di lavoro, dirigenti e preposti, stabilendo appunto l’articolo 299 che "Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'art. 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti".

D’altra parte, ha aggiunto la Cassazione, se l’assunzione da parte del CSE dei rischi che non gli competono comporta che il medesimo risponda di un evento lesivo conseguito alla violazione della normativa precauzionale non può sostenersi che egli sia tenuto ad assumere direttamente un rischio, intervenendo su situazioni di pericolo non inerenti al suo ambito di intervento.

 

 Articolo 92 – Obblighi del coordinatore per l'esecuzione dei lavori

(modificato dall'articolo 61 del decreto legislativo 106/09 – ndr)

(Decreto legislativo n° 81, 9 aprile 2008)

 

1. Durante la realizzazione dell'opera, il coordinatore per l'esecuzione dei lavori:

 

a) verifica, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;

 

b) verifica l'idoneità del piano operativo di sicurezza, da considerare come piano complementare di dettaglio del piano di sicurezza e coordinamento di cui all'articolo 100, assicurandone la coerenza con quest'ultimo, adegua il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 100 e il fascicolo di cui all'articolo 91, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, verifica che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza;

 

c) organizza tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonchè la loro reciproca informazione;

 

d) verifica l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere;

 

e) segnala al committente e al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94, 95 e 96 e alle prescrizioni del piano di cui all'articolo 100, e propone la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto. Nel caso in cui il committente o il responsabile dei lavori non adotti alcun provvedimento in merito alla segnalazione, senza fornire idonea motivazione, il coordinatore per l'esecuzione dà comunicazione dell'inadempienza alla azienda unità sanitaria locale e alla direzione provinciale del lavoro territorialmente competenti;

 

f) sospende, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.

 

2. Nei casi di cui all'articolo 90, comma 5, il coordinatore per l'esecuzione, oltre a svolgere i compiti di cui al comma 1, redige il piano di sicurezza e di coordinamento e predispone il fascicolo, di cui all'articolo 91, comma 1, lettere a) e b).

 

E’ il punto e) del comma 1 dell’art. 92, in particolare, quello che può creare confusione nella individuazione dei compiti del CSE allorquando indica che il CSE è tenuto a contestare per iscritto alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati “le inosservanze alle disposizioni degli articoli 94. 95, 96 e 97, comma 1” oltre che alle prescrizioni del PSC, ove esistente. La contestazione viene richiesta, è evidente, allo scopo di farne oggetto di segnalazione al committente o al responsabile dei lavori perché intervenga, ma, contenendo gli articoli citati gli obblighi di sicurezza a carico dei datori di lavoro delle imprese esecutrici oltre che dei datori di lavoro delle imprese affidatarie e dei lavoratori autonomi, è facile pensare che il legislatore abbia invece voluto affidare al CSE il compito diretto di controllare che i soggetti sopraindicati rispettino le disposizioni di sicurezza assegnandogli così una sorta di posizione di garanzia nell’ambito della sicurezza del cantiere, il che in effetti non è rimanendo sempre tale garanzia esclusivamente in capo ai singoli soggetti citati.

 

Alla luce delle considerazioni appena svolte quindi sarebbe opportuno, rivedere il testo della lettera e) dell’art. 92 e, fermo restando l’obbligo di segnalare al committente le inadempienze in materia di salute e sicurezza che dovesse riscontrare affinché adotti i suoi provvedimenti, sarebbe opportuno limitare l’intervento del CSE al solo controllo che siano attuate le prescrizioni di cui al PSC con la condizione però di dare  contemporaneamente indicazioni ai coordinatori in fase di progettazione (CSP) di non elaborare i PSC inserendo in esso tutti i rischi anche specifici di tutte le imprese esecutrici che operano nel cantiere e di fare del PSC una sorta di raccolta di tutti i rischi che posssono essere presenti nello stesso ma di limitarsi a indicare solo quelli di essi che possono costituire interferenza fra le imprese. L’individuazione delle carenze di sicurezza delle imprese va finalizzata, così come sostenuto dalla Cassazione nella sentenza sopracitata n. 27165 del 4/7/2016, ad adottare il provvedimento di sospensione di cui alla lettera f) dell’articolo 92 nel caso che le stesse carenze, direttamente riscontrate ed evidentemente immediatamente percettibili, costituiscono un pericolo grave e imminente.

 

Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale, all'esito di un complesso procedimento plurisoggettivo per omicidio colposo con violazione della disciplina antinfortunistica, ha dichiarato non doversi procedere anche nei confronti di un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione in relazione alle contestate contravvenzioni, perché estinte per prescrizione, e, riconosciute all'imputato le circostanze attenuanti generiche in relazione all'accertato reato di omicidio colposo per l’infortunio di un lavoratore e stimate le stesse equivalenti alla riconosciuta aggravante, ha rideterminato la pena a suo carico.

 

Con riferimento alla dinamica dell’infortunio lo stesso era accaduto durante alcuni lavori di manutenzione di un viadotto autostradale, lavori che il committente aveva affidato con un contratto di appalto ad un raggruppamento di imprese con capogruppo l’impresa alle cui dipendenze lavorava l’infortunato. Questi, che aveva le mansioni di carpentiere, la mattina dell’accaduto si trovava in un piazzale presso un pilone del viadotto in questione, area destinata ad impastare il cemento, a forma approssimativamente triangolare con larghezza massima utile oscillante tra 6,00 e 4,50 metri, con un ciglio delimitato da una rete di plastica colorata e da picchetti che segnavano la fine della zone pianeggiante e l'inizio di una scarpata ripida con pendenza del 54 %, cioè di 32 gradi. Il lavoratore aveva preso le chiavi di una betoniera ivi presente, chiavi che erano accessibili a tutti gli operai, essendo in un cassetta dentro un baracca aperta, era salito sul mezzo, lo aveva messo in moto e, percorsi 3-4 metri, a causa di un errore di manovra, era precipitato, non incontrando nessun ostacolo fisso quali barriera o guard-rail, nella scarpata sottostante, per fermarsi infine 12 metri più sotto sul letto di un torrente.

 

 

 

Durante la caduta il lavoratore, non essendo la betoniera provvista di barra contro lo schiacciamento dell'autista in caso di ribaltamento né cinture di sicurezza, era sbalzato fuori e aveva subito plurimi gravissimi traumi, anche a zone vitali (torace, carotide, aorta, spina dorsale), che ne avevano causata la morte. Si era accertato che la betoniera in questione era in condizioni pessime, arrugginita, priva di sistemi di protezione antischiacciamento del guidatore e di sistemi di ritenuta, di costruzione risalente a circa 20-30 anni prima, non essendo stato possibile risalire all'anno di fabbricazione.

 

 

 

Il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione era stato ritenuto corresponsabile dell'omicidio colposo per non avere, nella sua veste, mai rilevata nessuna carenza del piano operativo di sicurezza, piano che invece, secondo i giudici di merito, presentava criticità, ed per non avere inoltre segnalato al datore di lavoro nessuna delle criticità incidenti sotto il profilo della sicurezza, così violando l'art. 92, comma 1, rispettivamente lett. b) ed e), del D. Lgs. 9/4/2008, n. 81.

Le criticità in questione avevano riguardato il non avere colto, benché fosse andato in cantiere periodicamente circa ogni 20-30 giorni, la limitatezza delle dimensioni dello spiazzo in cui era la betoniera, anche in relazione al tipo di lavorazioni che ivi da circa sette mesi in concreto si stavano svolgendo ed alle condizioni di vetustà del mezzo-betoniera impiegato, né la pericolosità della situazione derivante dalla presenza di una ripida scarpata, essendosi il coordinatore stesso limitato a dare disposizioni affinché la rete rossa posta sul ciglio della discesa fosse sorretta da tondini di ferro, comunque inadatti a reggere la eventuale spinta di un mezzo in movimento.

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Al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione doveva ritenersi attribuito, secondo i giudici di merito, anche il compito di verificare la «situazione del cantiere, in particolare in relazione al sistema interno di viabilità, alla ubicazione degli spazi di manovra ad ai generali sistemi di protezione, contesto che i giudici avevano ricostruito non già come una «contingenza estemporanea come tale imprevista e imprevedibile, scaturita da una altrettanto eccentrica modalità di svolgimento del lavori, bensì conseguenza di una modalità esecutiva, quanto ai mezzi impiegati ed alla lavorazione in loco ed alla presenza quindi di materiali cumuli ed altro, oramai consueta perché in atto da tempo e sulla quale dunque l’imputato doveva esercitare i compiti di controllo e di "alta vigilanza" attribuitigli.

 

 

 

Il ricorso per cassazione e le motivazioni

L’imputato ha ricorso per cassazione l’imputato tramite i difensori di fiducia, affidandosi a due motivi, con i quali ha denunziato promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione. Lo stesso ha richiamato gli obblighi del coordinatore e in particolare quelli dell'art. 92, obblighi essenzialmente riconducibili ad un'attività di coordinamento in fase di prevenzione e di gestione dei rischi interferenti ed aggiuntivi derivanti dalla presenza, nello stesso cantiere, di più imprese esecutrici e di più lavoratori autonomi, e di alta vigilanza e non già invece di puntuale controllo, momento per momento, che è demandato ad altre figure (datore di lavoro, dirigente, preposto).

La vittima, ha evidenziato ancora lo stesso, era salita sulla betoniera di propria iniziativa e comunque in assenza di una precisa disposizione al riguardo, non essendo nemmeno qualificata all'uso del mezzo, sicché si sarebbe avuta una condotta occasionale ed estemporanea, non riconducibile a carenze organizzative generali, in ultima analisi ricadente nella sfera di controllo del datore di lavoro e dei suoi collaboratori, con esclusione della sua posizione di garanzia. La gestione del rischio che aveva portato all’infortunio, ha dedotto il ricorrente, era di esclusiva competenza dell’impresa esecutrice mentre il rischio la cui gestione è affidata al CSE è soltanto quello interferenziale.

Ad avviso del ricorrente, inoltre l'evento, verificatosi a seguito del ribaltamento dell'autobetoniera, era accaduto in quanto il lavoratore deceduto, senza adeguata formazione, aveva posto in essere una manovra su un mezzo che non era abilitato ad usare, mezzo non provvisto di adeguati presidi antinfortunistici, durante le lavorazioni in un cantiere nel quale, anche al momento del fatto, era presente un preposto per cui, laddove il preposto avesse correttamente presieduto e vigilato sull'operato dei lavoratori dipendenti, il lavoratore non sarebbe potuto salire sulla betoniera, posto che non era adibito ad operare sul mezzo, Se il mezzo, infine, fosse stato fornito di adeguati presidi di protezione presumibilmente le conseguenze non sarebbero state letali.

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato rigettato dalla Corte di Cassazione. In particolare la suprema Corte ha riconosciuto corretto e pertinente il richiamo da parte della sentenza di primo grado al principio di diritto secondo il quale «In tema di infortuni sul lavoro, la funzione di alta vigilanza, che grava sul coordinatore per la sicurezza dei lavori, ha ad oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro e del suo preposto.

Ed è, appunto, alla configurazione complessiva dell'attività, e non già ad una situazione contingente, che i giudici di merito concordemente avevano ricondotta la sottovalutazione da parte dell'imputato del pericolo di precipitazione del mezzo nella scarpata, come purtroppo accaduto, in relazione ad un'area di lavoro di modeste dimensioni, il cui ciglio era sì segnalato da una rete colorata ma privo di adeguate sottolineatura del rischio, come si sarebbe potuto fare con cartelli, e comunque non provvisto di accorgimenti idonei, ad esempio guard-rail o parapetti, a trattenere un pesante mezzo in movimento.

I giudici di merito, secondo la Sez. IV, con motivazione congrua e logica avevano dato atto che l'imputato non aveva verificato l'idoneità del piano operativo di sicurezza ( POS), che non aveva preso atto, nonostante i lavori fossero andati avanti da molti mesi, che la scarpata estremamente ripida costituiva un serio pericolo per l'incolumità e persino per la vita dei dipendenti; che non aveva considerato la insufficienza, a fronte del rischio di precipitazione nella scarpata, della mera presenza di un operatore a terra e che aveva trascurato elementi premonitori di rischio, pur presenti (la vetustà del mezzo, in pessime condizioni, privo di sistemi di protezione antischiacciamento del guidatore e di sistemi di ritenuta).

Logico ed immune da vizi, ha ritenuto altresì la suprema Corte, anche il ragionamento svolto dai giudici di merito sia circa la sussistenza del nesso causale sia circa la esclusione di comportamenti abnormi o esorbitanti da parte del lavoratore, che era intento alle lavorazioni cui era stato destinato in area aziendale, nel prescritto orario, a bordo del mezzo che gli era stato fornito dalla società di cui era dipendente. Ne è conseguito quindi il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 10136 del 16 marzo 2020 (u. p. 29 gennaio 2020) – Pres. Ciampi – Est. Cenci – P.M. De Masellis – Ric. B.L.. – I rischi la cui gestione è affidata al CSE sono soltanto quelli interferenziali fra le imprese o anche quelli specifici di ogni singola impresa? E’ una domanda alla quale si cerca di dare un riscontro nel commentare delle sentenze della Cassazione.

 

 Corte di Cassazione Sezione Feriale Penale – Sentenza n. 45317 del 7 novembre 2019 (u. p. 29 agosto 2019) –  Pres. Diotallevi – Est. Nardin – P.M. Di Leo – Ric. M.S.V..  – Per determinare la posizione di garanzia del CSE occorre prima verificare in concreto se la realizzazione di un rischio sia dovuta all'interferenza fra l'opera di più imprese o se, invece, essa inerisca all'esclusiva attività della singola impresa.

 

 Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 27165 del 4 luglio 2016 – Lavori per la realizzazione del Lotto 13 della variante di valico della autostrada A1 Firenze-Bologna. Infortuni mortali per il cedimento durante la fase di ancoraggio. Ruolo di un CSE.

RossellaCircolareCorte di Cassazione, la n. 45317 del 7/11/2019. La sentenza aveva riguardato in particolare la corretta applicazione dell’art. 92 del D. Lgs. n. 81/2008 che ha fissato gli obblighi posti a carico dei coordinatori per la sicurezza in fase di esecuzione (CSE) nei cantieri temporanei o mobili, l’individuazione delle loro...