I reati presupposto, decreto 231 e i modelli di organizzazione
Le Linee Guida di Confindustria per la costruzione dei modelli organizzativi riportano una parte dedicata all'approfondimento dei reati presupposto. I reati presupposto relativi agli articoli 589 e 590 del codice penale. Il D.Lgs. 231/2001, relativo alla responsabilità amministrativa per le aziende derivante da illeciti conseguenti alla commissione di un reato, ha originariamente previsto una ristretta categoria di reati che ha, nel tempo ampliato. E tra i “reati presupposto” è stato introdotto l'omicidio colposo (e le lesioni colpose) commesso con violazione della normativa antinfortunistica. Possiamo fare riferimento alle linee guida che Confindustria ha elaborato in questi anni per offrire alle imprese, che abbiano scelto di adottare un modello di organizzazione e gestione, una serie di indicazioni e misure che, almeno sul piano metodologico, orientino le imprese nella realizzazione di tali modelli. Linee guida, aggiornate nel 2014, dal titolo “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo. Ai sensi del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231”. Soffermandoci in particolare su alcune riflessioni della linea guida sull’articolo 25-septies del d.lgs. 231/2001 (Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro) e sui reati presupposto, art. 589 (Omicidio colposo) e art. 590 (Lesioni personali colpose) del codice penale. Ricordiamo che: nel reato colposo manca la volontà di determinare un qualsiasi evento costituente reato – l'evento si verifica ugualmente per negligenza, imprudenza, imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline – le linee guida indicano che “i delitti contemplati dagli artt. 589 e 590 c.p. sono caratterizzati dall’aggravante della negligente inosservanza delle norme antinfortunistiche. L’elemento soggettivo, consiste nella cd. colpa specifica, ossia nella volontaria inosservanza di norme precauzionali volte a impedire gli eventi dannosi previsti dalla norma incriminatrice”. Il concetto di colpa specifica “rimanda all’art. 43 c.p., nella parte in cui si prevede che il delitto e colposo quando l’evento, anche se preveduto ma in ogni caso non voluto dall’agente, si verifica a causa dell’inosservanza di norme di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Il documento segnala che: “l’individuazione degli obblighi di protezione dei lavoratori è tutt’altro che agevole”, infatti oltre al Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. 81/2008 e s.m.i) e agli altri specifici atti normativi in materia, “la giurisprudenza della Cassazione ha precisato che tra le norme antinfortunistiche di cui agli artt. 589, comma 2, e 590, comma 3, c.p., rientra anche l’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di adottare tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori”. Tale norma, “non può intendersi come prescrivente l’obbligo generale ed assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed ‘innominata’ ad evitare qualsivoglia danno, perchè in tal modo significherebbe ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato (Cass. civ., sez. lav., n. 3740/1995)”.
A questo proposito il documento – prediligendo “un approccio interpretativo sistematico che valuti il rapporto di interazione tra norma generale ( art. 2087 c.c.), singole specifiche norme di legislazione antinfortunistica previste dal decreto 81 del 2008” – segnala che appare coerente concludere che:
– “ l’art. 2087 c.c. introduce l’obbligo generale contrattuale per il datore di lavoro di garantire la massima sicurezza tecnica, organizzativa e procedurale possibile;
– conseguentemente, l’elemento essenziale ed unificante delle varie e possibili forme di responsabilità del datore di lavoro, anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 25-septies del decreto 231 del 2001, è uno solo ed è rappresentato dalla mancata adozione di tutte le misure di sicurezza e prevenzione tecnicamente possibili e concretamente attuabili (come specificato dall’art. 3, comma 1, lett. b), del decreto 81/2008), alla luce dell’esperienza e delle più avanzate conoscenze tecnico-scientifiche”.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 312 del 18 luglio 1996, indica che “l’obbligo generale di massima sicurezza possibile deve fare riferimento alle misure che nei diversi settori e nelle diverse lavorazioni, corrispondono ad applicazioni tecnologiche generalmente praticate e ad accorgimenti generalmente acquisiti, pertanto penalmente censurata, è solo la deviazione del datore di lavoro dagli standard di sicurezza propri, in concreto ed al momento, delle singole diverse attività produttive”. Gli obblighi in materia antinfortunistica, si accrescono ulteriormente laddove si consideri che “secondo la migliore dottrina e la più recente giurisprudenza l’obbligo di sicurezza in capo al datore di lavoro non può intendersi in maniera esclusivamente statica quale obbligo di adottare le misure di prevenzione e sicurezza nei termini sopra esposti (forme di protezione oggettiva), ma deve al contrario intendersi anche in maniera dinamica implicando l’obbligo di informare e formare i lavoratori sui rischi propri dell’attività lavorativa e sulle misure idonee per evitare i rischi o ridurli al minimo (forme di protezione soggettiva)”.
Quindi, il datore di lavoro che abbia adempiuto agli “obblighi in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (sia generali ex art. 2087 c.c. che speciali ex decreto 81 del 2008), è responsabile del solo evento di danno che si sia verificato in occasione dell’attività di lavoro e abbia un nesso di derivazione effettiva con lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
In relazione alla complessità dei presupposti formali e sostanziali della responsabilità del datore di lavoro per violazione di norme antinfortunistiche, il documento indica che, di fatto, con l'entrata in vigore della legge 123 del 2007, “ogni azienda che registri una consistente frequenza di infortuni gravi, dovrebbe considerare inaccettabile il ‘rischio’ di incorrere, oltre che nelle responsabilità di matrice civile e penale tipiche della materia, anche nelle ulteriori sanzioni del decreto 231 del 2001 per il fatto di non aver predisposto ed efficacemente attuato un idoneo Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo”. E tale modello, per essere efficacemente attuato, “potrà utilmente essere integrato con il ‘sistema’ degli adempimenti aziendali nascenti dagli obblighi di prevenzione e protezione imposti dall’ordinamento legislativo” e, qualora presenti, “con le procedure interne nascenti dalle esigenze di gestione della sicurezza sul lavoro”.
E, per concludere, è opportuno che l’azienda “ponga in essere azioni mirate volte garantire la suddetta integrazione (anche in vista della successiva eventuale verifica da parte del Giudice) ed in particolare:
– effettuazione di una mappatura del rischio approfondita e orientata secondo le specificità dell’attività produttiva presa in considerazione;
– attenta verifica ed eventuale integrazione delle procedure interne di prevenzione ai sensi del decreto 231 in coerenza con la specificità dei rischi di violazione delle norme richiamate dall’art. 25-septies; a tal fine sarà importante tenere conto e armonizzare tutte le attività già svolte, anche in materia di gestione della sicurezza, evitando inutili quanto costose duplicazioni;
– valutazione ed individuazione dei raccordi tra i vari soggetti coinvolti nel sistema di controllo ai sensi del decreto 231 e delle normative speciali in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, con particolare riferimento alla previsione di un sistema integrato di controllo riguardante il Responsabile dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP o altro soggetto giuridicamente equivalente) qualificabile come controllo tecnico-operativo o di primo grado, e l’ organismo di vigilanza.
Finiamo, riportando l’indice della “parte speciale” delle linee guida:
1. Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblici
2. Delitti informatici e illecito trattamento di dati
3. Delitti di criminalità organizzata, anche transnazionale
4. Concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità e corruzione
5. Falsità in strumenti di pagamento o segni di riconoscimento e delitti contro l’industria e il commercio
6. Reati societari
7. Delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento democratico
8. Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili
9. Delitti contro la personalità individuale
10. Abusi di mercato
11. Delitti commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro
12. Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita
13. Delitti in materia di violazione del diritto d’autore
14. Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria
15. Reati ambientali
16. Impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare
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