Conseguenza per l’omessa valutazione del rischio stress da lavoro ripetitivo
Corte di Cassazione – Sez. IV Penale- n. 11063 del 08 Marzo 2013- La mancanza del Documento mantenente una esaustiva relazione dei rischi specifici dei lavoratori addetti alla pulizia dei vetri inerenti al pericolo di caduta dall’ alto, alle posture incongrue, allo stress da lavoro ripetitivo.
Una sentenza della Cassazione relativa alla mancante valutazione dei rischi, inerenti i lavoratori addetti alle pulizie dei vetri relativamente al pericolo di caduta dall’alto, alle posture incongrue e allo stress da lavoro ripetitivo. La Cassazione Penale, con la sentenza dell’8 marzo 2013 n. 11062, ha confermato la condanna di un datore di lavoro per l’infortunio occorso ad un lavoratore addetto a lavori di pulizia, il quale, mentre stava salendo lungo una, scale a pioli, è caduto dalla stessa riportando lesioni gravi. Il Tribunale ha accertato, sulla base delle dichiarazioni del lavoratore, che “la caduta è stata dovuta all’eccessiva stanchezza del lavoratore, giunto alla fine della giornata lavorativa, all’ultimo vetro da pulire, prima di passare il giorno successivo ad altro luogo di lavoro.” Al datore di lavoro è stato contestato di non aver operato la valutazione del rischio da caduta dall’alto, da posture incongrue e da stress da lavoro ripetitivo; in particolare il Tribunale ha ritenuto che:” tanto la stanchezza che la conseguente caduta fossero d’ attribuire alla mancata valutazione dei rischi, qualora eseguita avrebbe consentito di prevedere modalità operative tali da ridurre lo stress da lavoro ripetitivo e da postura”. Secondo il Giudice di primo grado, tale situazione è anche dimostrata dal fatto che, l’organo di vigilanza ha impartito una prescrizione avente quale contenuto proprio la valutazione dei rischi in oggetto, la stessa è stata adempiuta, sicché la valutazione dei rischi dopo di allora conteneva la previsione di una ‘apposita procedura, che limita la durata di tali operazioni, per evitare affaticamenti e rischi derivanti da lavori ripetitivi’, con l’assegnazione del lavoratore ad altra mansione, non comportando affaticamento bio-meccanico ogni due ore di lavoro di pulizia di vetri, con scale o trabattelli, nonché altre misure dirette a fronteggiare i rischi in questione. La Corte di Appello, nel convalidare la sentenza di condanna, ha inserito che:” il lavoratore è salito sulla scala, senza attendere il collega, che si era momentaneamente allontanato, pertanto, operando in condizioni dissimili da quelle solitamente osservate (lavoro in coppia, con alternanza sulla scala). Ciò a ragione della volontà di terminare rapidamente il lavoro, trattandosi dell’ultimo vetro da pulire. Tale condotta del lavoratore, tuttavia, non integrava causa da sola sufficiente a determinare l’infortunio, atteso che le norme di prevenzione mirano a tutelare il lavoratore anche da negligenza, imperizia e imprudenza, che egli stesso possa compiere e considerato, altresì, il comportamento del P. [il lavoratore, n.d.r.] non poteva ritenersi eccezionale o abnorme”. La Cassazione, rigetta a sua volta il ricorso dell’imputato e dà ragione al Tribunale, secondo il quale, l’evento è stato determinato:”dalla situazione di stress e di stanchezza del lavoratore, dovuta all’effettuazione in serie di un lavoro ripetitivo, richiedeva una postura e dei movimenti disergonomici, con accentuazione dei rischi a causa delle modalità operative correnti, quali il trasporto delle necessarie attrezzature di pulizia da parte del lavoratore, durante la salita sulla scala, la necessità dì svolgere il lavoro in tempi estremamente ristretti”. La Corte inoltre precisa che: “è altamente probabile che se quelle condizioni di lavoro fossero state differenti (quelle poste in essere dopo il sinistro) l’infortunio non si sarebbe verificato, ricordando che, in tema di reati colposi, la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata avrebbe certamente evitato l’evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno”. Sez. 4, n. 19512 del 14/02/2008. Secondo la Suprema Corte, il ricorrente ha torto, quando sostiene nel ricorso che: “l’omissione consistette nella mera errata redazione delle schede di valutazione del rischio, in quanto risulta ormai accertato che, egli omise di elaborare all’esito della valutazione dei rischi, il prescritto documento contenente una relazione esaustiva dei rischi per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro, con riguardo ai rischi specifici dei lavoratori addetti alle pulizie dei vetri relativamente al pericolo di caduta dall’alto, alle posture incongrue e allo stress da lavoro ripetitivo”. Dal momento che, il ricorrente cita, a sostegno delle sue argomentazioni, “la deposizione di un dipendente dell’Asur, per il quale se avesse rinvenuto contrassegnate le diciture “rischio da caduta dall’ alto”, ‘rischio movimento ripetitivo arti superiori’ e ‘rischio stress da lavoro ripetitivo’ avrebbe ritenuto la valutazione dei rischi immune da censure, a parere della Corte, non fa che confermare la mancata valutazione dei rischi indicati dall’imputazione. Per quanto riguarda, alla condotta imprudente del lavoratore, la Cassazione conclude ricordando che: “è abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione della misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro, e che tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011)” e che, in questo caso, “non vi è incertezza in ordine al fatto che il lavoratore abbia comunque operato attendendo ai compiti che gli erano stati assegnati.”
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