La sicurezza è anche per i terzi che accedono ai luoghi di lavoro
Cassazione Penale sezione IV, sentenza n. 23147, del 12 Giugno 2012
Le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori ma anche dei terzi, che per un qualsiasi motivo, dovessero accedere nei luoghi di lavoro ove vi sono macchine che possono essere causa di eventi dannosi. In questa sentenza, è espresso, un principio già dettato, in precedenza dalla Corte di Cassazione, riguardante l’applicazione delle norme antinfortunistiche a terze persone diverse dai lavoratori che eventualmente abbiano avuto accesso nei luoghi di lavoro, dunque possano correre dei rischi in essi presenti. Le norme antinfortunistiche, sostiene la Corte suprema, non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per ridurre o eliminare il rischio, che i lavoratori e solo i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono stabilite anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Le disposizioni prevenzionali infatti, conferma ancora la Corte di Cassazione, sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa.
L' evento, la condanna ed il ricorso alla Corte di Cassazione
Il rappresentante legale di una società è stato condannato dal Tribunale perché riconosciuto colpevole del reato di lesioni personali colpose gravissime, ai sensi dell’articolo 590 c.p., commi 1, 2 e 3, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un lavoratore dipendente della società medesima. L'addebito all’imputato era stato formalizzato a seguito della sua posizione di garanzia nell'esecuzione di alcune opere murarie oggetto di contratto di appalto, durante l’esecuzione delle quali aveva omesso di rispettare le necessarie misure preventivi, in quanto la minipala che conduceva durante le operazioni, in ragione delle irregolarità del terreno e della benna montata sulla minipala stessa con particolare riferimento alla idoneità a svolgere le operazioni di miscelatura e di manipolazione del calcestruzzo, si rovesciava travolgendo il lavoratore che riportava gravissime lesioni.
La sentenza di condanna è stata confermata dalla Corte di Appello per cui il rappresentante legale della società ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione facendo in particolare presente che la persona rimasta infortunata nell’evento era il committente dei lavori, il quale si era voluto impegnare a collaborare all'esecuzione dei lavori in modo autonomo, senza che l'imputato potesse contrattualmente impedirglielo, e che pertanto lo stesso non poteva considerarsi un "dipendente" della società. Inoltre, sotto il profilo della colpa, l’imputato ha contestato la ricostruzione degli addebiti, anche se concordemente effettuata in primo e secondo grado, affermando che la corte di merito si sarebbe limitata a riportare le conclusioni della consulenza di parte e prospettando una diversa ricostruzione dell'accaduto, in termini tali da escludere le irregolarità dell'uso del mezzo affermate nella sentenza di condanna.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato dalla Corte suprema che ha invece giudicata corretta la decisione presa dalla Corte di Appello. In merito alla contestazione della violazione della normativa antinfortunistica la Sez. IV ha tenuto a ricordare che “le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori (e solo i lavoratori) possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate anche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono nei cantieri o comunque in luoghi ove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Le disposizioni prevenzionali, infatti, sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, finanche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa”.
Ne consegue, ha proseguito la suprema Corte, che “in caso di lesioni e di omicidio colposi, perché possa ravvisarsi l'ipotesi del fatto commesso con violazione delle norme dirette a prevenire gli infortuni sul lavoro, è necessario e sufficiente che sussista tra siffatta violazione e l'evento dannoso un legame causale, il quale ricorre tutte le volte che il fatto sia ricollegabile alla inosservanza delle norme stesse secondo i principi dettati dagli articoli 40 e 41 c.p.”. “In tale evenienza, quindi”, ha ancora sostenuto la Sez. IV,“dovrà ravvisarsi l'aggravante di cui all'articolo 589 c.p., comma 2, e articolo 590 c.p., comma 3, nonché il requisito della perseguibilità d'ufficio delle lesioni gravi e gravissime, ex articolo 590 c.p., u.c., anche nel caso di soggetto passivo estraneo all'attività ed all'ambiente di lavoro, purché la presenza di tale soggetto nel luogo e nel momento dell'infortunio non abbia tali caratteri di anormalità, atipicità ed eccezionalità da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante e purché, ovviamente, la norma violata miri a prevenire incidenti come quello in effetti verificatosi”.
In merito, alla circostanza che l’infortunato era il Committente, la Corte suprema ha tenuto a definire che le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di Appello non possono mutare in quanto non si può certamente sostenere che ci sia una sorta di esonero da responsabilità basato sulla pretesa impossibilità di impedire la presenza in loco del committente. “Il principio cautelare, infatti”, ha quindi concluso la Sez. IV, “ha una valenza generale ed inderogabile, tale da imporre non solo il rispetto delle norme di sicurezza nei confronti di chiunque si venga a trovare e ad operare nel cantiere, ma anche da escludere ‘zone franche’ rimesse alla volontà individuale”.
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