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Un committente affida dei lavori ad un lavoratore autonomo, tipologia nella quale si riscontra che molto spesso lo stesso committente non rivolge molta attenzione ai problemi di sicurezza sul lavoro convinto di trasferire agli appaltatori e ai prestatori d’opera, tutti gli adempimenti  previsti dalle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di non essere tenuto a verificare l’idoneità della loro organizzazione di lavoro e a controllare quindi che i lavori che ha affidato fossero svolti nella piena regolarità.

Il ricorrente, nel caso in esame è il titolare di un’impresa, che ha incaricato un lavoratore autonomo a installare una tubatura per l’aria compressa durante la quale questi è caduto da una scala dall’altezza superiore a 3 metri da terra, riportando un trauma cranico che ha provocato successivamente il suo decesso. La scala era stata messa a disposizione del lavoratore dal committente ed era risultata a seguito delle indagini svolte successivamente all’evento infortunistico priva dei requisiti di sicurezza previsti dalle norme vigenti (non ancorata) e comunque inidonea alla lavorazione da farsi. Da qui è derivata la condanna del titolare dell’azienda nei due primi gradi di giudizio per non avere messo a disposizione del lavoratore una attrezzatura idonea (trabattello) per proteggerlo dal rischio di caduta dall’alto e il ricorso del condannato alla Corte di Cassazione che lo ha rigettato ritenendolo inammissibile.

La suprema Corte, ha ricordato nella circostanza che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica impresa appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa stessa, essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, del D. Lgs. 14/8/1996 n. 494, sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro.

Del resto, ha altresì osservato la Corte di Cassazione, la tutela delle condizioni di lavoro e la garanzia delle sue condizioni di sicurezza rappresentano un problema che concerne l'ambiente di lavoro, indipendentemente dal rapporto civilistico del lavoratore con il titolare dell'impresa nei cui locali si svolge l'attività lavorativa. Il rispetto quindi delle norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato o autonomo, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi di lavoro.

Il fatto e l’iter giudiziario

La Corte di Appello, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, ha dichiarato, il titolare di un’azienda colpevole del reato di omicidio colposo di un lavoratore autonomo al quale aveva commissionato la installazione di una tubatura per l'aria compressa. L'addebito nei confronti dell'imputato era stato quello di aver cagionato la morte del lavoratore il quale, mentre stava su una scala ad un'altezza superiore ai tre metri da terra, era caduto conseguendo un trauma cranico che lo aveva portato al decesso. La scala utilizzata dal lavoratore, non ancorata né trattenuta al suolo da altra persona, era risultata inidonea alla lavorazione da compiersi. Il rimprovero mosso all'imputato era stato quello di aver commissionato il lavoro da svolgersi nei locali della propria azienda, senza aver svolto alcuna preventiva valutazione su cosa sarebbe occorso per eseguire in sicurezza la prestazione richiesta, ed in particolare senza aver fornito al lavoratore uno strumento adeguato ( trabattello) per proteggerlo dal rischio di caduta dall’alto.

Il ricorso per cassazione e le motivazioni

Sfavorevole, la sentenza della Corte di Appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione tramite il proprio difensore avanzando delle motivazioni. Lo stesso ha fatto osservare che la sentenza di primo grado aveva riscontrato il difetto di nesso causale tra la sua condotta e l'evento, atteso che non aveva mai interloquito con il lavoratore autonomo circa le direttive per l'acquisto e predisposizione dei materiali necessari allo svolgimento del lavoro. Pertanto, ha sostenuto il ricorrente di non essersi mai ingerito nell'esecuzione dei lavori e di non avere avuto alcuna diretta percepibilità dei fattori di rischio corsi dal lavoratore. La Corte di Appello quindi aveva riconosciuta la sua responsabilità pur dando atto del fatto che nulla sapesse delle lavorazioni. 

L’imputato ha sostenuto altresì che l'incarico al lavoratore era stato affidato direttamente da suo padre e di non avere avuto alcun contatto diretto con lo stesso per cui il momento che si è consumata la violazione formale della mancata verifica della sussistenza dei requisiti tecnico-professionali non poteva che essere quello dell'effettivo inizio della prestazione richiesta e non quello della mera consapevolezza dell'affidamento dei lavori. In definitiva, con riferimento agli adempimenti formali di cui all'art. 26 del D. Lgs. n. 81/2008, non era stata apprezzata dalla Cote di Appello la sua “inconsapevolezza”.

 

Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Passando all’esame delle motivazioni del ricorso la Cassazione ha precisato che correttamente la Corte territoriale aveva sostenuto che né l'assenza dell'imputato dal luogo ove era avvenuto il sinistro, né la circostanza che l’imputato non si fosse ingerito nella prestazione resa dall'appaltatore, valessero ad esonerarlo da responsabilità in relazione all'infortunio mortale in esame. E’ stata la stessa sentenza impugnata, ha precisato la Sez, IV, a scartare espressamente una ipotesi di culpa in eligendo, individuando invece la sua responsabilità nella violazione degli artt. 21 e 26 del D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i., rimanendo incontestato che il lavoro era stato comunque commissionato al lavoratore da lui quale titolare dell'azienda nella quale si sarebbe dovuto svolgere la prestazione richiesta, indipendentemente dal fatto che i contatti con il lavoratore autonomo fossero stati tenuti direttamente dal padre.

L’infortunio era accaduto in quanto sono state riscontrate delle violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, con riferimento all’idoneità della scala. Il giudice di merito, secondo la Sez. IV, aveva ragionevolmente osservato che l'imputato era nelle condizioni di prevenire il rischio generico, non essendo in discussione che egli sapesse del lavoro da compiersi nella sua azienda e avrebbe quindi dovuto comunque valutare, in via preventiva, le modalità di esecuzione in sicurezza del lavoro, stabilendo che cosa sarebbe stato necessario per la sua attuazione ed avvisando in tal senso l'appaltatore.

Correttamente quindi, ha precisato la Cassazione, la Corte territoriale aveva osservato che la tutela delle condizioni di lavoro e la garanzia delle sue condizioni di sicurezza rappresentano un problema che concerne l'ambiente di lavoro, indipendentemente dal rapporto civilistico del lavoratore con il titolare dell'impresa nei cui locali si svolge l'attività lavorativa. Del resto “l’approntamento di misure di sicurezza, e quindi il rispetto delle norme antinfortunistiche, esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, essendo stata riconosciuta la tutela anche in fattispecie di lavoro prestato per amicizia, per riconoscenza o comunque in situazione diversa dalla prestazione del lavoratore subordinato o autonomo, purché detta prestazione sia stata effettuata in un ambiente che possa definirsi di lavoro”.

Si tratta di considerazioni, ha aggiunto la suprema Corte, in linea con la costante giurisprudenza secondo cui “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa – essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dall'art. 3, comma ottavo, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 – sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro”. 

In conclusione la Corte di Cassazione ha ribadito che l'unitaria tutela del diritto alla salute, indivisibilmente operata dagli artt. 32 della Costituzione e dall’art. 2087 del codice civile, impone l'utilizzazione dei parametri di sicurezza espressamente stabiliti per i lavoratori subordinati nell'impresa anche per ogni altro tipo di lavoro per cui il committente ha l'obbligo di verificare non soltanto l'idoneità tecnico-professionale dell'impresa e dei lavoratori autonomi prescelti, ma deve tenere conto anche della pericolosità dei lavori affidati.

Le motivazioni sono state ritenute pertanto manifestamente infondate e il ricorso inammissibile. Stante tale inammissibilità il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali, delle spese delle parti civili e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 13856 del 7 maggio 2020 (u. p. 13 febbraio 2020) – Pres. Bricchetti – Est. Ranaldi – P.M. Epidendio – Ric. I.M. – Il rispetto delle norme antinfortunistiche esula dalla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo, essendo da riconoscere la tutela anche per lavori prestati per amicizia o comunque in situazione diversa dalla prestazione di lavoro.

RossellaCronacaUn committente affida dei lavori ad un lavoratore autonomo, tipologia nella quale si riscontra che molto spesso lo stesso committente non rivolge molta attenzione ai problemi di sicurezza sul lavoro convinto di trasferire agli appaltatori e ai prestatori d’opera, tutti gli adempimenti  previsti dalle norme in materia di salute...