Indicazioni sulla responsabilità amministrativa dell’impresa “COVID-19”
L’emergenza COVID-19 oltre a coinvolgere la popolazione e i lavoratori ha indubbiamente coinvolto significativamente anche le imprese che sono chiamate, da normative, protocolli e linee guida, ad adattare la propria struttura organizzativa e il modo di gestire le prestazioni lavorative per garantire la tutela della salute dei lavoratori.
è interessante fare una riflessione sui rischi che le imprese sono chiamate a gestire – con particolare riferimento al sul tema della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. 231/2001 (Decreto 231) – attraverso il documento di sintesi (“Position Paper”) realizzato da Confindustria e dal titolo “La responsabilità amministrativa degli enti ai tempi del COVID-19. Prime indicazioni operative”. Un documento che presenta le “prime indicazioni” e la posizione confindustriale su vari aspetti: il profilo dell’adeguatezza dei modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001 in relazione all’emergenza COVID-19, i connessi obblighi per il datore di lavoro e l’azienda, il ruolo dell’Organismo di vigilanza e la necessità di focalizzare l’attenzione sulla corretta implementazione delle varie misure anticontagio previste da norme e protocolli condivisi.
Il documento si sofferma sul nuovo articolo 29-bis del decreto-legge n. 23 dell’8 aprile 2020, come convertito dalla legge 5 giugno 2020, n. 40.
L’articolo parla dei seguenti argomenti:
Come affrontare il rischio diretto relativo al contagio da COVID-19?
Il ruolo dell’Organismo di Vigilanza nell’attuale emergenza sanitaria
L’emergenza COVID-19 e i profili di responsabilità dell’impresa
Come affrontare il rischio diretto relativo al contagio da COVID-19?
Nel “Position Paper” di Confindustria, con riferimento al tema della responsabilità 231 dell’impresa, si indica che “il COVID-19 determina o amplifica alcuni potenziali profili di rischio che, possono essere distinti in due tipologie: indiretti e diretti”.
1) Riguardo ai rischi indiretti si determina, che l’epidemia “può rappresentare un’ulteriore ‘occasione’ di commissione di alcune fattispecie di reato già incluse all’interno del catalogo dei reati presupposto della disciplina 231 ma, in sé considerate, non strettamente connesse alla gestione del rischio COVID-19 in ambito aziendale e, per questo, riconducibili a un perimetro che potremmo definire di rischi indiretti. Infatti, per far fronte all’emergenza, le imprese si sono attrezzate impostando modalità di lavoro e organizzative in molti casi diverse da quelle ordinarie e hanno dovuto ricorrere a strumenti o far fronte ad adempimenti spesso inediti”.
Tra i rischi indiretti, rientrano, a titolo esemplificativo, la corruzione, il capolarato, i reati di criminalità organizzata, il riciclaggio e autoriciclaggio, i reati informatici, violazioni in materia di diritto d’autore, reati contro l’industria e il commercio, …
Accanto ai rischi indiretti, l’epidemia ha “determinato l’insorgere di un rischio che potremmo definire diretto per le imprese, ovvero quello conseguente al contagio da COVID-19”, un rischio “che coinvolge indistintamente tutte le imprese, così come tutta la collettività, e che si ritiene opportuno trattare nell’ambito della responsabilità 231”.
Ciò che si richiede al Modello 231 è “di prevedere il complesso dei presidi generali idonei ad assicurare, a valle e in loro attuazione, un valido ed efficace sistema gestionale, che contempli tutte le specifiche misure necessarie per l’adempimento degli obblighi giuridici a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori”.
E con questi presupposti “il COVID-19 non sembra imporre, anche con riferimento al rischio da contagio, un’automatica revisione del Modello 231 che già contempli il complesso dei presidi generali, i quali, nei termini appena indicati, individuino le basi per l’adozione di un sistema gestionale idoneo a prevenire la commissione dei reati in materia prevenzionistica”.
L’esposizione dei lavoratori al rischio da contagio nei luoghi di lavoro determina, per il datore di lavoro, l’obbligo di “predisporre le adeguate misure che tutelino i lavoratori da tale rischio, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile”.
In questo senso si ribadisce che “la peculiarità del rischio da contagio COVID-19, che interessa indistintamente tutta la popolazione mondiale, a prescindere dall’attività lavorativa svolta dal singolo e si connota, sul piano biologico, per la novità (e dunque per l’assenza di anticorpi), per la natura ancora incerta e imprevedibile della malattia e della sua progressione e per l’ancora scarsa conoscenza dell’efficacia di possibili cure”.
Dunque “l’individuazione delle misure generali di contenimento e di prevenzione da adottare nelle organizzazioni produttive è demandata alle Autorità pubbliche, le sole che invece dispongono, anche attraverso appositi Comitati scientifici, di informazioni e competenze necessarie a valutare il rischio e individuare le misure necessarie per farvi fronte”.
Le Autorità pubbliche hanno infatti individuato (e continueranno a individuare) misure di contenimento del contagio, contenute in diverse fonti (decreti-legge, DPCM, Protocolli condivisi di regolamentazione delle misure e Protocolli specifici, ad esempio per i cantieri o per il settore del trasporto e della logistica).
Dunque a fronte delle indicazioni contenute in queste fonti, “il margine di valutazione e determinazione dei datori di lavoro appare limitato alla sola attuazione scrupolosa delle misure che le Autorità, anche in raccordo coi rappresentanti delle imprese, hanno adottato e continueranno ad adottare, nonché alla vigilanza volta ad assicurare che i lavoratori si adeguino a tali misure”.
Gli adattamenti e le modifiche alle modalità di lavoro e di organizzazione dell’attività apportate dal datore “costituiscono diretta esecuzione delle prescrizioni impartite dalle Autorità. Infatti, in coerenza con l’art. 2087 del codice civile, il datore è tenuto ad adeguarsi a tali prescrizioni, implementando le misure organizzative necessarie per dare attuazione alle misure anti-contagio previste dalle fonti richiamate e, con particolare riferimento al Protocollo di sicurezza, quelle in tema di:
- informazione: tutti i lavoratori e chiunque entri in azienda devono essere informati in ordine alle disposizioni delle autorità e con riferimento al complesso delle misure adottate dal datore di lavoro, mediante avvisi consegnati o affissi ne luoghi aziendali;
- attività giornaliere di pulizia e sanificazione degli ambienti;
- precauzioni igieniche personali;
- dispositivi di protezione individuale per il personale;
- gestione degli spazi comuni (es. mensa, aree fumatori) e rispetto delle distanze interpersonali;
- definizione di una diversa organizzazione aziendale (turnazione, trasferte e smart working);
- entrata e uscita di dipendenti e fornitori; limitazione degli spostamenti interni, riunioni, etc;
- gestione dei casi di presenza di una persona sintomatica in azienda;
- prosecuzione nella sorveglianza sanitaria, in collaborazione con il medico competente e il RLS”.
Senza dimenticare la costituzione, nell’impresa, di un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del protocollo.
Per un’efficace e corretta implementazione delle misure, sarà poi indispensabile che “tutta l’attività realizzata dall’impresa per adeguarsi a tali prescrizioni trovi corrispondenza in un’adeguata reportistica dei presidi messi in atto, nonché degli esiti delle attività di controllo sulla loro corretta implementazione, garantendo la tracciabilità e la conservazione di tale documentazione”.
In sintesi dovrà essere “predisposto un protocollo aziendale, che declini in modo puntuale le misure poste in essere per recepire quelle contenute nel Protocollo di sicurezza, e dovranno essere documentate per iscritto tutte le singole attività realizzate e le decisioni assunte dal datore in attuazione di tali misure (ad esempio verbali e registri), le informative rivolte ai dipendenti, nonché le relazioni elaborate dagli organi preposti alle verifiche in ordine al rispetto delle nuove procedure. Tale protocollo andrà a integrarsi, di fatto, nel complesso dei presidi puntuali messi in campo dal datore all’interno della propria organizzazione al fine di prevenire la commissione di fattispecie rilevanti anche in chiave 231”.
Il ruolo dell’Organismo di Vigilanza nell’attuale emergenza sanitaria
Veniamo al ruolo dell’Organismo di Vigilanza, nel contesto del sistema dei controlli interni.
Si ricorda che nel sistema 231 l’Organismo di vigilanza (OdV) ha il compito di “valutare l’adeguatezza del Modello 231 dell’impresa, vigilare sulla sua corretta ed effettiva implementazione e suggerirne eventuali aggiornamenti al mutare di determinate circostanze, fermo restando che le decisioni gestionali e l’aggiornamento del Modello sono e restano di competenza dell’impresa”. E dunque il principale compito dell’OdV nel contesto emergenziale “è una rafforzata vigilanza sulla corretta ed efficace implementazione del Modello esistente, nonché delle misure attuate dal datore di lavoro in ottemperanza alle prescrizioni delle Autorità pubbliche”.
L’ Organismo di vigilanza è chiamato “anzitutto a interloquire con i vertici dell’impresa, con il Comitato costituito per l’emergenza e con le funzioni aziendali interessate, con frequenza maggiore rispetto a quella pianificata prima della pandemia, e ad assicurare un potenziamento dei flussi informativi da e verso l’ente. Al riguardo, può essere opportuno prevedere riunioni periodiche tra l’OdV e il Comitato, trattandosi della struttura interna istituita proprio al fine specifico di gestire l’applicazione e la valutazione delle misure organizzative adottate”.
Ed è opportuno che l’OdV, da un lato, “si accerti che il quadro normativo di riferimento, collegato all’evoluzione dell’emergenza, sia costantemente monitorato dall’impresa e, dall’altro, ottenga in modo tempestivo dal datore di lavoro, dalle funzioni aziendali coinvolte (es. risorse umane, legale) e dagli organi preposti alla gestione del rischio (es. medico competente, RSPP) adeguati flussi informativi sulle misure concretamente implementate all’interno dell’impresa in chiave anti-contagio, al fine di valutarne l’adeguatezza rispetto ai provvedimenti emananti”.
Resta in capo all’Organismo – continua il documento – “anche la prerogativa di sollecitare l’adeguamento o l’adozione delle misure anti-contagio in caso di inerzia dell’impresa, in capo alla quale – si ribadisce – resta in ogni caso la decisione e la conseguente attività operativa. Inoltre, l’OdV è chiamato a sollecitare e tenuto a ricevere, nella sua attività di vigilanza, eventuali segnalazioni in ordine a violazioni del Modello e delle precauzioni implementate in azienda, con particolare attenzione al puntuale rispetto dei protocolli anti-contagio”.
Inoltre all’ Organismo di vigilanza “spetta di segnalare ai vertici aziendali e alle funzioni preposte ai controlli operativi, anche di propria iniziativa, eventuali criticità riscontrate nella propria attività di vigilanza, affinché ne venga assicurata la soluzione. Si tratta di un’attività che l’Organismo potrà svolgere, soprattutto in questa fase di gestione dell’emergenza e in quelle successive, attraverso un monitoraggio continuo basato sull’analisi di potenziali red flag, di volta in volta identificati in funzione della realtà dell’impresa, nonché attraverso mirate attività di consultazione, in ogni caso senza che l’OdV stesso assuma specifiche responsabilità manageriali al riguardo”.
Si richiede, in sintesi, all’OdV, un coinvolgimento, “un engagement rafforzato sulla vigilanza in ordine all’attuazione delle prescrizioni, vigilanza che passa attraverso un adeguato e rafforzato sistema di flussi informativi. L’esito dovrebbe essere di accrescere il livello di effettività di tali prescrizioni nel contesto aziendale e ciò rappresenta, evidentemente, un portato positivo di un ‘sistema 231’ efficace e accuratamente implementato”.
L’emergenza COVID-19 e i profili di responsabilità dell’impresa
In definitiva nel contesto dell’emergenza sanitaria COVID-19, “una completa ed effettiva compliance aziendale risulta importante per garantire un’adeguata tutela della salute dei lavoratori ed escludere profili di responsabilità dell’impresa”.
Alla luce delle considerazioni sulla natura straordinaria e imprevedibile della pandemia in corso e sull’assenza delle necessarie competenze tecnico-scientifiche in capo ai datori di lavoro, “è ragionevole sostenere” – continua Confindustria – “che vadano esclusi profili di responsabilità, anche in chiave 231, in capo al datore di lavoro e all’impresa che abbiano adottato e concretamente implementato le misure anti-contagio prescritte dalle Autorità pubbliche per far fronte al rischio pandemico”.
In questo senso si è espresso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali che, in risposta a un’interrogazione parlamentare dinanzi la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati (5 maggio 2020), ha affermato che “[…] le conseguenze per i datori di lavoro cui fanno riferimento gli odierni interroganti, si può ritenere che la diffusione ubiquitaria del virus Sars-CoV-2, la molteplicità delle modalità e delle occasioni di contagio e la circostanza che la normativa di sicurezza per contrastare la diffusione del contagio è oggetto di continuo aggiornamento da parte degli organismi tecnico-scientifici che supportano il Governo, rendono particolarmente problematica la configurabilità di una responsabilità civile o penale del datore di lavoro che operi nel rispetto delle regole. Una responsabilità sarebbe, infatti, ipotizzabile solo in via residuale, nei casi di inosservanza delle disposizioni a tutela della salute dei lavoratori e, in particolare, di quelle emanate dalle autorità governative per contrastare la già menzionata emergenza epidemiologica”.Si segnala che anche l’INAIL – con la circolare n. 22 del 20 maggio 2020, “è intervenuta sul tema della responsabilità civile e penale del datore di lavoro per fornire alcuni chiarimenti. In particolare, l’Istituto ha chiarito che il riconoscimento delle infezioni da Covid-19 dei lavoratori come infortunio sul lavoro, ai sensi dell’art. 42 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (cd. DL Cura Italia) e della circolare Inail stessa del 3 aprile scorso, non comporta automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro”.
Il rispetto dei protocolli COVID costituisce adempimento dell’articolo 2087?
Durante l’esame parlamentare del DDL di conversione del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, cd. DL Liquidità, è stata approvata una norma che, recependo tale impostazione, chiarisce come i datori di lavoro adempiano agli obblighi conseguenti alla previsione generale di cui all’art. 2087 c.c. mediante l’applicazione e il mantenimento, cioè mediante la corretta implementazione nell’operatività aziendale, delle misure anti-contagio previste dai più volte richiamati Protocolli di sicurezza” (art. 29-bis del DL n. 23/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40).
In conclusione il documento indica che in questo contesto particolare, il sistema 231 – “l’insieme dei presidi e protocolli implementati dall’impresa per mitigare il rischio di commissione dei reati presupposto e delle specifiche misure anti-contagio legate al COVID-19, unitamente al meccanismo dei controlli e dei flussi informativi da e verso l’OdV e la continua interlocuzione tra quest’ultimo, i vertici e i presidi aziendali preposti” – rappresenta “una best practice per affrontare l’emergenza, assicurando la contemporanea tutela delle diverse esigenze in campo, anche per la gestione delle successive fasi, che potranno essere caratterizzate dalla convivenza con il rischio COVID”.
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