Le responsabilità dell’RSPP
La Cassazione Penale, Sez.IV, 18 dicembre 2018 n.56952, la Corte sottolinea che “il riscontrato deficit di formazione dei lavoratori deceduti, non può che essere imputato al datore di lavoro – e non certo allo RSPP, che nella fattispecie era, di un’altra azienda – avuto riguardo al ruolo centrale di tale figura, il datore di lavoro, (n.d.r.), nel sistema prevenzionistico, quale primo destinatario del generale obbligo di sicurezza di cui all’art.2087 cod. civ., in quanto garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro (Sez.4, n.4361 del 21 ottobre 2014, Ottino, Rv.26320001); e fra i numerosi obblighi a suo carico in tale ambito, è sempre sul datore di lavoro che grava il fondamentale obbligo di formazione ed informazione dei lavoratori (Sez.4, n.39765 del 19 maggio 2015, Vallani, Rv.26517801; Sez.4, n.21242 del 12 febbraio 2014, Nogherot, Rv. 25921901).”
Ciò premesso, il D.lgs 81/08 e s.m.i., attribuisce invece all’RSPP – in virtù del suo ruolo di natura consulenziale – il compito di “proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori” (art.33 c.1 lett.d) in comb.disp. art.2 c.1 lett.f) ed l) D.Lgs.81/08). Di conseguenza il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, in caso di infortunio o malattia professionale, può potenzialmente rispondere penalmente nel caso uno di tali eventi sia correlabile e direttamente riconducibile ad un mancato o non corretto adempimento del compito di “proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori” attribuito a tale soggetto dalla legge. Ciò in virtù del principio – puntualmente richiamato in giurisprudenza – in base al quale “secondo le regole generali, il RSPP può essere tenuto a rispondere – proprio perché la sua inosservanza si pone come concausa dell’evento – dell’infortunio in ipotesi verificatosi proprio in ragione dell’inosservanza colposa dei compiti di prevenzione attribuitigli dalla legge”, laddove “dalla ricostruzione dei compiti del RSPP discende, coerentemente, che il medesimo è privo di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale, spettandogli solo di prestare “ausilio” al datore di lavoro nella individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e nella elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori (cfr. articolo 33 del decreto cit.).”
Dunque, “in altri termini, relativamente alle funzioni che la normativa di settore attribuisce al RSPP, l’assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l’eventuale inottemperanza a tali funzioni – e segnatamente la mancata o erronea individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza nonché di informazione e formazione dei lavoratori – possa integrare una omissione rilevante per radicare la responsabilità tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata o male considerata dal responsabile del servizio.” ( Cassazione Penale, Sez.IV, 27 gennaio 2011 n.2814). L’eventualità che una responsabilità penale dell’RSPP per infortunio o malattia professionale si correli ad una violazione da parte di tale soggetto dell’art.33 c.1 lett.d) , quindi, al compito di proporre i programmi di formazione e informazione, ha già, trovato dei riscontri in giurisprudenza anche in termini direttamente applicativi. In una sentenza di quest’anno (Cassazione Penale, Sez.IV, 11 luglio 2019 n.30489), la Suprema Corte ha confermato la responsabilità di un RSPP (che era stato condannato in cooperazione con altri quattro soggetti) per omicidio colposo commesso con violazione del compito previsto dall’art.33 c.1 lett. d) D.Lgs.81/08 e s.m.i., su richiamato. La vittima dell’infortunio era un dipendente di un Consorzio di Bonifica ed era deceduto dopo essere stato “travolto da un cedimento franoso, durante i lavori di scavo per la posa di tubazioni sotterranee di irrigazione nell’apprezzamento agricolo”. La sentenza, specifica che i corsi, erano stati limitati “ad 8 ore (di cui 4 ore per rischi generici), senza alcuna preparazione rispetto al rischio di eventuale seppellimento legato alle attività di scavo (in particolare senza l’illustrazione del contenuto delle procedure di sicurezza, contenute nel documento aziendale)”. La Cassazione ha richiamato così il disposto “dell’art.33, lett.d ed f, d.lgs.n.81 del 2008 e s.m.i., ai sensi del quale, il R.S.P.P. provvede a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori e a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’articolo 36 su rischi connessi alle attività lavorative e sulle misure e attività di protezione e prevenzione adottate.”
Vale, dunque ,anche in relazione a questo particolare compito – secondo la Corte – il principio generale in base al quale “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto cui siano stati affidati i compiti del servizio di prevenzione e protezione, ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, può essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione (Sez.4, n.1834 del 16/12/2009 ud.-dep. 15/01/2010, Rv. 245999-01; v. anche più recentemente Sez.4, n.11708 del 21/12/2018 ud.-dep. 18/03/2019, Rv. 275279-01).”
E, ha sottolineato la Cassazione, “a ciò si aggiunga che la sussistenza di altri soggetti titolari di potere di formazione non esonera il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, il quale, comunque, ha poteri di ausilio ed affianca, senza sostituire, il datore di lavoro (Sez.4, n.50605 del 05/04/2013 ud.-dep.16/12/2013, Rv.258125-01) e, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Sez.4, n.11708 del 21/12/2018 ud.-dep.18/03/2019, Rv.275279-01). Infine, la formazione non può essere limitata ai rischi ordinari, ma deve investire anche quelli eccezionali.”
Rispetto al caso specifico, poi, la Cassazione ha precisato che “nella sentenza impugnata [sono] riportate le specifiche dichiarazioni dei lavoratori ed [è] indicato il preciso contenuto dei corsi di formazione, ivi compreso quello del 26 ottobre 2012, da cui si è desunta la totale assenza di formazione in ordine al rischio da scavo ed alla procedura che pure era stata elaborata a fini preventivi […].” Concludiamo questa breve analisi (condotta senza pretese di esaustività) con un cenno ad una sentenza che ha messo in luce un problema di natura differente rispetto a quello affrontato dalla pronuncia appena trattata ma pur sempre correlato, anche se in maniera diversa, al compito previsto dall’art.33 c.1 lett.d) D.Lgs.81/08 (che viene preso in esame, in questo caso, in relazione ai compiti di cui alle lettere a), b) e c) della medesima norma ed in particolare in relazione all’ipotesi del loro carente/mancato adempimento).
In Cassazione Penale, Sez.IV, 20 luglio 2018 n.34311 (di cui qui, per esigenze di brevità, si potrà fornire solo una sintesi rinviando alla sentenza integrale per eventuali approfondimenti), gli imputati – tra cui l’RSPP – avevano consentito “che il C.P. [la vittima, n.d.r.] eseguisse operazioni di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento di un impianto di betonaggio, installato presso la A. s.r.l., senza che […] fosse stato redatto un DVR che individuasse i fattori di rischio connessi alle dette operazioni, necessarie prima dell’inizio di ogni ciclo di produzione di calcestruzzo e che comportavano l’ingresso di un lavoratore in zona ad alto rischio; disponendo e consentendo […] che tali operazioni avvenissero in un impianto privo di una bobina di sgancio di minima tensione, con tutto il circuito elettrico di sicurezza (compresi i pulsanti di emergenza per l’interruzione dell’alimentazione e gli interruttori di sicurezza) isolato dal resto dell’impianto ed assolutamente inservibile.” Ed “ancora, senza aver predisposto una procedura di verifica, anche periodica, dell’efficienza delle sicurezze dell’impianto elettrico, sicurezze che impedissero la rotazione degli alberi durante la presenza dell’addetto all’interno della vasca per le operazioni di lubrificazione.” Si contestava poi la “omessa individuazione dei fattori di rischio con riferimento all’esecuzione quotidiana delle attività di ingrassaggio delle parti interne della vasca di mescolamento del detto impianto, e di non aver contribuito all’elaborazione di un adeguato DVR da parte del datore di lavoro”. In tale contesto, il DVR era “un documento palesemente e incontestatamente lacunoso”. Con questa pronuncia la Corte conferma anche la condanna dell’RSPP (in concorso con gli altri imputati). Nel dare ragione alla Corte d’Appello, la Cassazione sottolinea che “essendo quella di lubrificazione degli alberi un’operazione essenziale, quotidiana, delicata eppure non contemplata nel DVR e solo menzionata nelle istruzioni operative, sarebbe dovuto balzare agli occhi del RSPP una tale approssimazione”. Di fatto, l’RSPP “aveva rivisitato il DVR sei mesi prima dell’infortunio ed aveva rassicurato che le procedure erano le medesime e che nulla andasse aggiornato quanto alla valutazione dei rischi, né aveva segnalato che fosse mancante del tutto la parte relativa alla verifica dei sistemi antinfortunistici legati all’impianto di betonaggio, avendo proposto come suggerimenti solo dei corsi sulla sicurezza.”
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