responsabilità fra imprenditori e coordinatori
Il compito del CSE nel cantiere edile è di alta vigilanza, anche senza una sua continua presenza, deve esercitarsi in maniera attenta e scrupolosa e riguardare tutte le lavorazioni in atto nel cantiere.
Iter giudiziario
Il Tribunale, con sentenza successivamente confermata dalla Corte di Appello, ha condannato il datore di lavoro di un’impresa ed il coordinatore alla sicurezza nella fase di esecuzione, dei lavori perché ritenuti responsabili del delitto di lesioni colpose commesse, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di un lavoratore dipendente di una ditta appaltatrice. L’infortunio si era verificato, durante dei lavori di ristrutturazione di un convento, all’interno di una stanza, posta al primo piano del complesso ed era stato causato dallo sprofondamento, a causa del peso di una trave-cornice in mattoni, posizionata sulla parete divisoria della predetta stanza con il corridoio, sprofondamento che aveva provocato il distacco della cornice che è andata a colpire il lavoratore infortunato. I giudici del merito, avevano ritenuto accertato che l’incidente, si fosse verificato a causa del mancato rispetto delle disposizioni, contenute nel PSC, concernenti il puntellamelo dei locali ove si svolgevano le opere appaltate, per cui avevano ritenuto che il luogo di lavoro non era stato messo in sicurezza. Secondo gli stessi pertanto era stato il coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione che aveva omesso di verificare che fossero state effettivamente rispettate le disposizioni contenute nel piano sicurezza ed attuate le relative opere di puntellamento delle pareti.
Il ricorso in Cassazione e le motivazioni
Avverso la sentenza di condanna della Corte di Appello il CSE ha ricorso in cassazione sostenendo che tale figura professionale deve svolgere, nell’ambito del cantiere, una funzione di alta vigilanza e che quindi allo stesso spetta di impartire disposizioni circa le modalità di esecuzione del piano, la cui materiale applicazione rimane, affidata al datore di lavoro, agli altri soggetti obbligati che operano in cantiere. L’imputato ha sostenuto, nel ricorso, di aver svolto con cura tali compiti di alta vigilanza inerenti l’applicazione delle prescrizioni del piano, né si poteva pretendere che egli fosse presente ad ogni singola fase delle lavorazioni e controllasse direttamente le modalità di puntellamento per ogni singola stanza ove i lavori si stavano svolgendo. L’imputato, ha sostenuto inoltre di avere assolto ai propri compiti, mediante visite di controllo in cantiere, riunioni con l’impresa, per cui perché si potesse ritenere sussistere una sua colpa si sarebbe dovuto verificare che, con un maggior numero di riunioni o di visite di controllo, l’infortunio non si sarebbe verificato. Ha precisato, poi in particolare che la lavorazione da parte dell’operaio infortunato aveva avuto inizio poco prima dell’incidente per cui alla luce del principio secondo cui, al coordinatore spettano compiti di alta vigilanza ma non è tenuto, come gli stessi giudici di merito avevano riconosciuto, ad una presenza continua in cantiere, l’osservanza degli obblighi imposti dall’art. 5 del D. Lgs. n. 494/1996 non avrebbe in ogni caso consentito di interrompere per tempo le condotte pericolose sfociate poi nell’evento. Analoghe considerazioni l’imputato ha svolte nel ricorso con riguardo al dovere di vigilanza, anche alla luce di quanto emerso circa la frequenza della sua presenza in cantiere, sempre rapportata agli obblighi di alta vigilanza che spettano al coordinatore.
Le decisioni della Corte di Cassazione
Il ricorso è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione infondato. La stessa, ha osservato riguardo ad uno dei temi proposti nel ricorso, che la normativa concernente il tema della sicurezza del lavoro nell’ambito di attività lavorative svolte in un cantiere edile, individua diverse posizioni di garanzia, la principale delle quali certamente riguarda il datore di lavoro, che organizza e gestisce l’esecuzione dell’opera, ma che coinvolgono diverse figure professionali, tra le quali, oltre al committente, vi è certamente il coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori. A tale figura professionale, ha proseguito la Sez. IV, l’art. 5 del D, Lgs. n. 494/1996, trasfuso nella D. Lgs. n. 81/2008 e s.m.i, ha attribuito precisi compiti ed obblighi, che lo individuano quale titolare di una specifica ed autonoma posizione di garanzia che si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica. All coordinatore per l’esecuzione, dei lavori è stato attribuito, tra gli altri, ha ribadito la Sez. IV, non solo il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nel cantiere e di assicurare il collegamento tra appaltatore e committente, al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica, ma anche quello di vigilare sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle prescrizioni del piano di sicurezza nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori.
“Si tratta”, ha proseguito la suprema Corte, “di un compito definito di ‘alta vigilanza’ che, seppur non necessariamente deve implicare una continua presenza nel cantiere, deve tuttavia esercitarsi in maniera attenta e scrupolosa e riguardare tutte le lavorazioni in atto, specie quelle che pongono maggiormente a rischio l’incolumità degli operatori” ed è proprio ai doveri di vigilanza che, secondo i giudici di merito, è venuto meno l’imputato laddove non ha adeguatamente verificato che i delicati interventi di restauro del complesso si svolgessero nel pieno rispetto delle norme di sicurezza e delle prescrizioni contenute nello stesso piano di coordinamento, prescrizioni che prevedevano, prima di qualsiasi intervento sulla struttura muraria, l’esecuzione di precise opere di puntellamelo delle parti interessate ai lavori che nella circostanza si sono rilevate di fatto insufficienti o addirittura del tutto assenti.
Il mancato rispetto, nel caso in esame, di elementari ma essenziali norme di sicurezza che avevano provocato il crollo parziale della struttura ed il ferimento del lavoratore è stato attribuito, secondo la suprema Corte, anche alla violazione, da parte dell’imputato, dei suoi doveri di vigilanza che, in vista della delicatezza dei lavori che si dovevano eseguire, era tenuto alla preventiva verifica, prima che si iniziassero le opere di demolizione, dello scrupoloso rispetto delle modalità di intervento previste nel piano di sicurezza e tra tutte, principalmente, quelle che richiedevano il puntellamento delle parti a rischio di crollo. Né è valso ad escludere o anche solo a ridimensionare le responsabilità dell’imputato, ha proseguito la Sez. IV, il fatto che lo stesso si recava di frequente nel cantiere, laddove si consideri che tale presenza avrebbe dovuto esser anche diretta alla verifica del rispetto, da parte dei responsabili delle imprese, delle prescrizioni previste nel piano di sicurezza. Anzi proprio la presenza frequente in cantiere avrebbe dovuto porre il coordinatore nelle migliori condizioni per approfondire le questioni concernenti i temi della sicurezza, non solo attraverso riunioni tra i diversi soggetti interessati, ma anche attraverso la diretta verifica del rispetto delle relative prescrizioni, specie di quelle dirette ad evitare i rischi più gravi legati all’esecuzione delle opere appaltate, come quelle concernenti, appunto, il puntellamento delle strutture murarie oggetto dell’intervento di restauro. Né l’imputato, ha ribadito la Corte di Cassazione, poteva lasciare all’appaltatore l’esclusiva responsabilità di una corretta esecuzione delle opere, in quanto, al contrario, la posizione di coordinatore per la sicurezza, gli imponeva di accertarsi direttamente e costantemente, fin dalla fase iniziale dei lavori di demolizione, che fossero esattamente osservate le modalità d’intervento previste nel piano, dovendosi intendere il concetto, richiamato nel ricorso, di "alta vigilanza", non in termini di disimpegno del coordinatore rispetto ai doveri di controllo che la legge gli attribuisce e di rimbalzo verso altre figure professionali, bensì di pieno coinvolgimento negli stessi, non in sovrapposizione, ma in aggiunta agli altri soggetti ai quali la legge attribuisce specifiche posizioni di garanzia.
È vero, ha così proseguito la suprema Corte, richiamando un’altra sentenza della stessa Corte (Cass. n. 18149 – 2010) “che diverso è il ruolo che la legge attribuisce al coordinatore rispetto a quello attribuito al datore di lavoro delle imprese esecutrici dei lavori e che quello del coordinatore è indicato come ‘funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)‘, ma è altresì vero che la stessa sentenza richiamata, dopo le riportate premesse, ha chiarito che per accertare se l’evento illecito coinvolga anche la responsabilità del coordinatore, occorre analizzare le caratteristiche del rischio dal quale è scaturito l’infortunio. Occorre, cioè accertare se si tratti di un accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro o del suo preposto; o se invece l'evento stesso sia riconducibile alla configurazione complessiva, di base, della lavorazione, ambito nel quale al coordinatore è attribuito il compito di alta vigilanza”.
Non vi è dubbio, ha tenuto ancora a precisare la Sez. IV, che l’infortunio patito dal lavoratore nei termini nei quali è stato descritto dai giudici del merito, non è stato contingenza estemporanea scaturita dallo svolgersi dei lavori, bensì conseguenza dell’impropria configurazione delle modalità d’intervento nell’esecuzione degli stessi; ciò che riconduce l’evento nello specifico ambito con riguardo al quale devono esercitarsi i compiti di controllo e di ‘alta vigilanza’ attribuiti al coordinatore.
Infondate, quindi, sono state ritenute alla stregua di quanto appena osservato, anche le censure proposte nel ricorso dall’imputato con riguardo al tema del nesso causale, essendo del tutto evidente che “se l’imputato avesse svolto i propri compiti di vigilanza e di controllo in maniera adeguata, l’incidente non si sarebbe verificato. Egli, invero, avrebbe potuto subito intervenire e pretendere dai responsabili del cantiere la predisposizione delle più corrette modalità di esecuzione dei lavori, rispettose delle prescrizioni di sicurezza, ovvero giungere alla sospensione dei lavori, atteso l’evidente pericolo di crollo al quale le scorrette modalità di esecuzione esponevano i lavoratori”.
“Poco conta, peraltro”, ha così concluso la suprema Corte, “il momento in cui sono iniziati i lavori nei locali ove il crollo si è verificato. Compito dell’imputato era anche quello di prevenire i tempi delle lavorazioni, di coordinare la propria presenza con l’avvio degli stessi, per porsi nelle condizioni di verificare preventivamente la corretta esecuzione degli interventi preparatori, e dunque di puntellamento delle parti murarie a rischio di crolli, prima che si fosse dato inizio ai lavori di demolizione delle parti oggetto degli interventi di ristrutturazione”.
Cassazione Penale Sezione IV – Sentenza n. 15484 del 7 aprile ’14
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