Ruolo di un CSE. Infortuni mortali per il cedimento durante la fase di ancoraggio.
Corte di Cassazione Penale, Sez. 4 – Sentenza n. 27165 del 4 luglio 2016 – Lavori per la realizzazione del Lotto 13 della variante di valico della autostrada A1 Firenze-Bologna. Infortuni mortali per il cedimento durante la fase di ancoraggio. Ruolo di un CSE.
Le decisioni della Cassazione Penale
Nell’annullare con rinvio la sentenza di condanna della CSE, la Cassazione ha ritenuto che la Corte Territoriale non abbia fornito una risposta soddisfacente <<a fronte di motivi di gravame assai articolati>>.
Per la Suprema Corte, il punto della sentenza impugnata che non convince, in termini di logicità della motivazione, è proprio, quello che attiene alla responsabilità del CSE , di conseguenza, all'affermazione di penale responsabilità dell'imputata.
La Corte territoriale, secondo la Cassazione, fa due affermazioni che indicano, palesemente, la sussistenza di una contraddizione.
La prima è che <<il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è dunque tenuto a verificare, attraverso un'attenta e costante opera di vigilanza, l'eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nei cantiere in relazione a ciascuna fase dello sviluppo dei lavori in corso di esecuzione>>.
La seconda è che <<rimane irrilevante che non si sia in presenza di una interferenza tra lavorazioni diverse, affidate a diverse imprese, bensì di una fase nella quale era in corso una lavorazione 'singola': l'organizzazione della cooperazione ed il coordinamento delle attività è solo uno dei compiti del coordinatore per la sicurezza e non esaurisce l’ambito della sua attività e della relativa posizione di garanzia>>.
Il CSE è quella figura che gestisce il rischio interferenziale e la sua posizione di garanzia non va confusa con quella del datore di lavoro. L'unica eccezione è costituita dalla previsione di cui all'art. 92 comma 1, lett. f) del D. Lgs. n° 81/2008, dove il CSE è obbligato a sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate.
Per la Corte Territoriale appare evidente che viene accettato il rilievo difensivo che non si fosse in presenza di una interferenza tra lavorazioni diverse. Quindi, ci si deve domandare se il montaggio, avvenuto in difformità rispetto alle specifiche tecniche del fabbricante, fosse una situazione tale da dovere e potere ricadere nella sfera di controllo della CSE.
La Corte territoriale aveva fornito sul punto una risposta positiva sull'evidente necessità che il controllo del CSE fosse effettivo, tale da consentire una verifica reale e sufficientemente penetrante dell'adeguatezza delle procedure di lavoro, della formazione del personale e degli strumenti operativi utilizzati dai lavoratori in ogni singola fase dell'attività. Altrimenti, i principi sopra esposti <<sarebbero rimasti del tutto privi di significato vanificando anche la funzione di generale vigilanza che la legge demanda al committente, dal quale il coordinatore è designato>>.
La Cassazione Penale, però, nelle motivazioni della sentenza con cui ha accettato il ricorso annullando la condanna della CSE, non ritiene che sia così.
La Cassazione, nel motivare la propria decisione, ha richiamato la sentenza n. 18149 del 21.4.2010, che pur se relativa ad un fatto commesso prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. n° 81/2008, ribadiva che il CSE, oltre ai compiti che gli sono affidati dall’art. 5 D. Lgs. n° 494/1996, ha <<una autonoma funzione di alta vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)>>. Una riprova verrebbe dal fatto che il CSE procede per atti formali: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate e segnalazione al committente di dette irregolarità. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato gli è consentito di sospendere immediatamente i lavori. Pertanto il coordinatore ha solo un ruolo di vigilanza in merito allo svolgimento generale delle lavorazioni e non è obbligato ad effettuare quella stringente vigilanza, momento per momento, che compete al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Solo qualora l’infortunio sia riconducibile a carenze organizzative generali di immediata percettibilità sarà dunque configurabile anche la responsabilità del coordinatore; la conseguenza è che non è richiesta la sua continua presenza nel cantiere con ruolo di controllo.
Il caso della sentenza n. 18149/2010 riguardava un lavoratore che era caduto nel vuoto. La Corte di Cassazione aveva rilevato come il rischio di caduta implicasse l’uso delle cinture di sicurezza, ma l’obbligo di vigilanza da parte del coordinatore comportava solo il controllo sulla esistenza in cantiere delle cinture di sicurezza e sulla previsione della loro utilizzazione in quella lavorazione. E non sul fatto che il singolo lavoratore se ne servisse realmente in quella specifica situazione.
Nella sua sentenza, La Cassazione, non ritiene che tra i compiti di controllo della CSE rientri anche la verifica della corretta attuazione delle procedure di montaggio, che non potevano essere difformi, come invece avvenuto, da ciò che era previsto nelle istruzioni del fabbricante del sistema di passerelle.
Dunque, ribadisce che la Corte Territoriale con la propria sentenza, amplia oltremodo il ruolo e le funzioni della CSE, quando asserisci che <<questo controllo rientrava senza dubbio nel compito di generale vigilanza sulla configurazione delle lavorazioni" che è affidata al coordinatore e non implicava affatto attività che non sono proprie di questa figura, come il rapporto diretto con le maestranze ovvero una minuziosa ingerenza nella gestione giornaliera del cantiere>>.
Per la Corte Territoriale la CSE si doveva focalizzare, durante l’espletamento delle sue funzioni, su aspetti che, ad evento avvenuto, era risultati di <<macroscopica evidenza>> quali:
la valutazione del rischio assolutamente insufficiente da parte dell'impresa affidataria;
la mancata individuazione e attuazione, da parte dell’impresa affidataria, delle corrette procedure di lavoro, in particolare l'assenza di documenti di progettazione esecutiva che individuassero con chiarezza le esatte modalità di montaggio (e consentissero di trasferire in modo puntuale tali informazioni ai lavoratori).
La Corte territoriale addirittura poneva a carico del CSE la responsabilità per <<una organizzazione di cantiere nella quale, come rilevato dalla ASL nella più volte citata relazione del 24.4.2009, si registravano carenze anche nel controllo delle maestranze da parte dei preposti>>.
La Cassazione Penale, nelle motivazioni della sentenza di annullamento della condanna della CSE, dopo aver elencato quali sono gli obblighi di questa figura elencati all’art. 92 del D. Lgs. n° 81/2008, ribadisce che, con riferimento alle attività lavorative svolte in un cantiere edile, il CSE è titolare di una posizione di garanzia che si affianca a quella degli altri soggetti destinatari della normativa antinfortunistica, in quanto gli spettano compiti di <<alta vigilanza>>, consistenti:
nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell'incolumità dei lavoratori;
nella verifica dell'idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell'assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento;
nell'adeguamento dei piani in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS.
In particolare, il controllo sul rispetto delle previsioni del piano non può essere meramente formale, ma va svolto in concreto, secondo modalità che derivano dalla conformazione delle lavorazioni. Per la Corte di Legittimità, quindi, è fondamentale che alla previsione della cautela segua un'attività di verifica, da parte del CSE, della sua attuazione che compete alle imprese esecutrici. Attività di verifica che tuttavia non può significare presenza quotidiana nel cantiere da parte del CSE ma, appunto, presenza nei momenti delle lavorazioni topici rispetto alla funzione di controllo. Quindi, l'Alta Vigilanza citata nelle sentenze della Cassazione, non va interpretata come una sorta di contrazione della posizione di garanzia del CSE ma indica, invece, il modo in cui vanno adempiuti i doveri tipici delle varie figure presenti in cantiere. Mentre le figure operative (datore di lavoro, dirigenti e preposti) sono prossime al posto di lavoro ed hanno quindi poteri-doveri di intervento diretto ed immediato, il CSE opera attraverso procedure; del resto, come stabilito dalla legge (art. 92 comma 1, lett. f) del D. Lgs. n° 81/2008), il potere-dovere di intervento diretto, il CSE lo ha solo quando constati direttamente gravi pericoli. L'obbligo di cui alla lettera f) è particolarmente importante, perché è norma di chiusura che, eccezionalmente, individua la posizione di garanzia del CSE nel potere-dovere di intervenire direttamente sulle singole lavorazioni qualora riscontrasse situazioni di pericolo grave ed imminente.
Ciò implica, anche, la necessità legale di frequentare il cantiere con una periodicità compatibile con la possibilità di rilevare le eventuali lavorazioni pericolose.
Per il resto, il CSE, secondo la Cassazione, <<deve identificare momenti topici delle lavorazioni e predisporre attività che assicurino, rispetto ad esse, l'attuazione dei piani attraverso la mediazione dei datori esecutori>>.
Il CSE, però, non può esimersi dal prevedere momenti di verifica della effettiva attuazione di quanto esplicato e previsto; ma anche queste azioni di verifica non possono essere quotidiane ed hanno una periodicità significativa e non burocratica (cioè dettate dalle necessità che risultino idonee allo scopo e non routinarie). Parallelamente, l'accertamento giudiziale della corretta condotta del CSE dovrà ricercarsi, non nella costante presenza in cantiere dello stesso ma nelle tracce di azioni di coordinamento, di informazione, di verifica, e della loro adeguatezza sostanziale.
Appunto per questo, rispetto al caso in discussione, per la Cassazione rimaneva la questione se la verifica del corretto montaggio delle passerelle e, soprattutto, dell’utilizzo degli idonei bulloni, potesse essere o meno un’attività di controllo esigibile da parte della CSE.
Ne segue che, la richiesta che la Cassazione fa al giudice del rinvio, è quella di rivedere se tale attività di controllo possa rientrare nell’attività di Alta Vigilanza, visto che più volte la Corte di Legittimità ha ribadito che essa ha per oggetto quegli eventi riconducibili alla configurazione complessiva della lavorazione e non anche gli eventi contingenti, scaturiti estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori medesimi e, come tali, affidati al controllo del datore di lavoro, dei dirigenti e dei preposti.
Perciò, escluse le violazioni che vanno a ricadere nell’alveo delle previsioni dell’art. 92 comma 1, lett. f) del D. Lgs. n° 81/2008, l'Alta Vigilanza del coordinatore per l'esecuzione viene in rilievo laddove si sia in presenza di un rischio interferenziale e cioè sia in atto una lavorazione che vede contemporaneamente al lavoro più imprese, con un aumentato rischio infortunistico reciproco.
Il CSE, per la Cassazione, <<assume la funzione più generale di garante sulle situazioni di pericolo nel cantiere, indipendentemente dalle lavorazioni in corso, solo nei casi di macroscopiche carenze organizzative o di attuazione della normativa antinfortunistica, direttamente riscontrate, che, ai sensi dell'art. 92 lett. f) determinino una situazione di pericolo grave ed imminente, che gli impone di sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate>>.
Per quanto riguarda la formazione ed informazione dei lavoratori delle varie aziende, secondo la Cassazione, il CSE <<è chiamato a verificare documentalmente che tali obblighi siano stati assolti dai datori di lavoro delle aziende coinvolte nelle lavorazioni simultanee>>.
La Cassazione, nelle motivazioni di annullamento con rimando della sentenza di condanna della CSE, ribadisce che la motivazione della sentenza impugnata appare fortemente contradittoria.
Questo perché:
da una parte i giudici fiorentini <<affermano che la vigilanza circa il puntuale assolvimento degli obblighi di formazione e informazione si collega strettamente al compito del coordinatore di verificare l’attuazione del PSC e la corretta applicazione delle procedure di lavoro (come indicato dall'art. 92 comma 1 lett. a) d.lgs. 81/2008), in quanto l'applicazione corretta delle procedure di lavoro presuppone, su un piano logico, che i lavoratori siano adeguatamente formati>>. E affermano di non condividere l’affermazione che questo obbligo di vigilanza debba essere svolto su un piano puramente ed esclusivamente "documentale", ritenendo tale conclusione in evidente contrasto con il carattere di effettività della vigilanza del coordinatore e con il dovere di puntuale informazione sui possibili rischi connessi alle varie fasi dell'attività lavorativa che su di esso grava;
dall’altra sembrano rendersi conto che sul punto si creerebbe una figura di garanzia speculare e sovrapponibile rispetto a quella del datore di lavoro.
Ed allora provano a giustificare ciò affermando nelle motivazioni che questa circostanza si poteva ricavare agevolmente anche dalla documentazione a disposizione del coordinatore per l'esecuzione dei lavori. Infatti, nella sentenza impugnata, si legge che <<si trattava di carenze facilmente accertabili effettuando un puntuale controllo sulla base della documentazione (che tra l'altro già di per sé rendeva evidente, come sopra detto, che nessuno dei lavoratori aveva ricevuto un addestramento riguardo il montaggio dei sistemi di ripresa) e tutt'al più acquisendo informazioni in merito alla generale prassi di cantiere: rimanendo dunque nell'ambito di vigilanza che, secondo la comune impostazione giurisprudenziale, compete al coordinatore per l'esecuzione dei lavori>>.
Per la Corte di Legittimità, alla fine, la Corte territoriale, pur affermando come petizione di principio il contrario, sembra abituarsi, man mano che procede nella motivazione, all'idea che il controllo della CSE sul punto formazione-informazione debba essere prevalentemente documentale.
Preso atto di ciò la Corte di Legittimità ribadisce testualmente che << il CSE ha il compito di verificare documentalmente che vi sia stata un'attività di formazione ed informazione dei lavoratori, ma colui su cui grava l'onere di verificare – e la responsabilità – che tale formazione sia effettiva è il datore di lavoro ai sensi dell'art. 37 del D. Lgs. n° 81/2008>>. Se poi l’addebito principale mosso alla CSE, continua la Cassazione, è stato quello di non avere vigilato sulla corretta formazione ed informazione dei lavoratori in ordine allo specifico rischio corso, invece appare evidente che i lavoratori in questione, ad un determinato punto, si accorsero del rischio che correvano e si rivolsero perciò all’Assistente di cantiere che, però, fornì loro due bulloni di montaggio non idonei.
Nel concludere l’esame del caso, la Cassazione raccomanda al Giudice del rinvio di attenersi al principio di diritto secondo cui il CSE ha una posizione di garanzia che non va confusa con quella del datore di lavoro perché il primo ha una autonoma funzione di Alta Vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni che comportino rischio interferenziale, e non anche il puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto). L'unica eccezione è costituita dalla previsione di cui all'art. 92 comma 1, lett. f del D. Lgs. n° 81/2008 dove il CSE, in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, ed evidentemente immediatamente percettibile, è tenuto a sospendere le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate. Il CSE, in altri termini, <<non è il controllore del datore di lavoro, ma il gestore del rischio interferenziale>>.
Una volta correttamente inquadrata la figura della CSE in tale ruolo, il giudice del rinvio, unico a poter rivalutare gli elementi di fatto del caso concreto, dovrà fornire con motivazione congrua e logica, il che nel provvedimento oggi impugnato non è avvenuto, una risposta ai seguenti quesiti riguardanti la condotta della CSE:
Doveva e poteva essere la CSE, nella qualità ricoperta, competendole una mera Alta Vigilanza sul rischio interferenziale, controllare lo stato di ancoraggio delle passerelle?
Era il pericolo costituito dal loro inidoneo montaggio immediatamente percettibile ed in quanto tale riconducibile alla previsione di cui all'art. 92 comma 1, lett f) del D. Lgs. N. 81/2008?
Aveva la CSE il dovere e anche la possibilità di accertare un'evenienza come quella dell'avvenuta fornitura di supporti inidonei?
Inutile dire che le motivazioni addotte dalla Suprema Corte nell’accettare il ricorso della CSE, sono state criticate dai quei soliti commentatori usi a produrre solamente contributi riguardanti i casi in cui i ricorsi sono rigettati in modo da tenere sapientemente alto il clima di preoccupazione di chi svolge le funzioni di CSE ottenendo, così, un ritorno in termini di notorietà ed il pienone ai seminari, convegni, ecc., a cui partecipano come relatori.
Secondo questi “critici” la Cassazione non ha tenuto conto dell’obbligo di controllo che grava sul CSE, ribadito dalla lettera a) del comma 1 dell’art. 92, che riguarda anche le disposizioni degli articoli 94, 95, 96 e 97 comma 1 citate dalla successiva lettera e).
A questa critica si può facilmente obiettare dicendo che, nel caso specifico, non era certo una condotta penalmente esigibile quella di un CSE che doveva controllare la corretta realizzazione, da parte del personale operante, di ogni singolo ancoraggio realizzato sulla pila in cui si è verificato l’evento.
Un’altra critica alla sentenza della Cassazione riguarda la formazione del personale coinvolto. Secondo i censori, non si può limitare la vigilanza del CSE solo ad una verifica documentale.
Anche a questa critica si può obiettare con facilità domandandosi cosa avrebbe dovuto fare la CSE a fronte della presentazione da parte dell’impresa affidataria di evidenze in cui emergeva la partecipazione del personale coinvolto ad attività informative e formative dove erano stati presentati i contenuti del POS con specifico riferimento ai rischi ed alle misure di prevenzione da adottare per l’esecuzione dello specifico lavoro. Infatti, alla data dell’evento (02/10/2008), non era stato ancora pubblicato l’Accordo Stato Regioni (con contenuti minimi, durata, ecc.) e, pertanto, i soli artt. 36 e 37 del D. Lgs. N. 81/2008 non fissavano una durata temporale minima per l’informazione e la formazione. Eventuali difetti informativi e formativi potevano essere riscontrati solo osservando i comportamenti e le situazioni che si concretizzavano sul campo. Dalle visite della CSE, i cui report erano stati prodotti in dibattimento, non era risultato alcunché. Analogamente, non risultava alcuna segnalazione o intervento da parte dei funzionari dell’ente di vigilanza che gravitavano in cantiere durante la realizzazione dei 4000 ancoraggi citati nella sentenza della Cassazione. Vale la pena di ricordare che la squadra coinvolta nell’evento, aveva già realizzato le pile del viadotto adiacente a quello dell’evento realizzando oltre 150 ancoraggi. Visto che la documentazione acquisita dalla CSE in merito all’informazione e formazione del personale effettuata, evidenziava la trattazione dei rischi e delle misure di prevenzione e protezione da adottare per l’esecuzione dello specifico lavoro a cui gli infortunati erano addetti, si può tranquillamente obiettare alle critiche mosse ribadendo che non rientrava tra i compiti della CSE effettuare una verifica puntuale del livello di apprendimento del personale addetto ad una qualunque lavorazione in quanto ciò rientra nell’ambito della sfera di responsabilità del datore di lavoro dell’impresa e dei soggetti da esso preposti.
In conclusione, di fronte ad una sentenza che ha definito ancor con maggior chiarezza il perimetro delle responsabilità del CSE, le critiche mosse, a parere di chi scrive non hanno alcun senso a meno che non si voglia continuare a considerare, ancora dopo 20 anni dal D. Lgs. n° 494/1996 e dopo 8 anni dalla “svolta” della Cassazione avvenuta con la sentenza n. 18149/2010, il CSE come un ufficiale di polizia giudiziaria (UPG) aggiunto o onorario o lo sceriffo di cantiere che tutto deve tenere sotto controllo, garantendo il risultato della condotta prevenzionale di altri soggetti come il datore di lavoro, il dirigente o il preposto di un’impresa.
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